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Vita sintetica: il manuale di istruzioni secondo C.Venter

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IL LUNGO VIAGGIO VERSO IL GENOMA SINTETIZZATO IN LABORATORIO

Il Craig Venter Institute ha costruito un genoma batterico disegnato al computer e assemblato in vitro, superando una lunga serie di problemi tecnici e metodologici. Il risultato è JCVI-syn3.0, un batterio animato da un genoma interamente sintetico.

LA GRANDE SFIDA DELLA VITA “ARTIFICIALE”

Il concetto di vita artificiale ha sempre colpito la fantasia delle persone, dalla creatura di Frankenstein in poi. Ma qualcuno ci sta lavorando sul serio, il Craig Venter Institute appunto, un’azienda scientifica privata e per certi versi controversa. I risultati finora ottenuti sono il frutto di un lavoro molto complesso, e ancora in divenire, che aveva come scopo la sintesi in laboratorio di un genoma che potesse sostenere la vita degli esseri più semplici che conosciamo, i batteri, e in particolare dei batteri più piccoli e con il genoma più ridotto tra quelli conosciuti. Stiamo parlando dei micoplasmi, batteri che vivono all’interno delle cellule degli organismi superiori e ne sfruttano gran parte dei sistemi vitali (costruzione delle proteine, approvvigionamento alimentare, omeostasi ecc.). In pratica si comportano da parassiti.

Ma cosa si intende, oggi, per cellula artificiale? Diciamo subito che si tratta di un termine improprio perché stiamo parlando di un genoma sintetizzato in laboratorio in grado di sostenere e replicare la vita della sua cellula ospite, ma che non è in grado di assemblare una cellula da solo. Se aggiungiamo un genoma sintetico a una miscela di proteine, lipidi, acidi nucleici e degli altri componenti necessari alla costruzione di una cellula, non succederà proprio niente. Per far funzionare il genoma sintetico è necessario trapiantarlo all’interno di una cellula batterica già formata e privata del suo genoma originario. La cellula trapiantata non solo continuerà a vivere, ma sarà anche in grado di replicarsi, esprimendo le informazioni contenute nel genoma sintetico. Non è propriamente vita artificiale ma è molto più di quanto fosse pensabile fino a poco tempo fa.

L’IDEA INIZIALE

Il DNA di una cellula può essere immaginato come il sistema operativo di un computer. In pratica funziona come un sistema binario con la differenza che le unità base dell’informazione non sono lo zero e l’uno, ma le quattro molecole, chiamate nucleotidi, che lo costituiscono (adenina, guanina, timina, citosina). Differenti sequenze di nucleotidi determinano differenti informazioni. Ogni genoma è costituito da blocchi di sequenze di DNA (e quindi di informazioni) chiamati geni, che contengono istruzioni sia per le funzioni universali comuni a tutte le forme di vita sia per le funzioni specifiche delle singole specie.

Ma le cellule non sono oggetti virtuali bensì materiale vivente, quindi imperfetto, con le complicazioni che questo comporta.

La prima è che non tutto il materiale genetico cellulare “serve” a qualcosa. Sembra strano ma è così, ci sono intere sequenze duplicate, oppure residui di arrangiamenti casuali dovuti a errori durante la replicazione, oppure DNA estraneo introdotto da virus oppure ancora sequenze di geni non indispensabili.

Da qui nasce la domanda che ha dato il via al lavoro di Venter: quali sono i geni veramente indispensabili? Il suo istituto si è pertanto dedicato alla semplificazione del “software” genomico di una cellula batterica eliminando i geni che non sono necessari alla sua crescita.

MA COME HANNO FATTO?

L’impresa era ovviamente difficile proprio perché non conosciamo tutte le funzioni di tutti i geni, quindi non si sapeva quali geni dovessero essere inseriti nel genoma sintetico. Per riuscirci hanno letteralmente inventato tutta una serie di nuove tecniche di indagine. Una di queste è il metodo della mutagenesi, cioè l’induzione di mutazioni genetiche, con i trasposoni Tn5. I trasposoni sono elementi genetici, cioè segmenti di DNA più o meno lunghi e in genere di origine virale, in grado di spostarsi autonomamente all’interno di un genoma. A un certo punto, quando decidono che preferiscono posizionarsi da un’altra parte, si staccano da soli, cambiano posizione e si riattaccano in un altro punto del DNA cellulare.

Se si riattaccano all’interno di un gene quel gene viene inattivato e la sua funzione viene persa. Utilizzando i trasposoni in modo controllato è stato possibile individuare i geni essenziali, quelli cioè che una volta inattivati non consentono la vita della cellula, nonché i geni non essenziali, quelli la cui presenza o assenza non ha un impatto significativo sulla vitalità cellulare.

Sono stati anche migliorati e velocizzati i sistemi di lettura (sequenziamento) e di sintesi del DNA, ed è stata elaborata una complessa strategia per poter costruire in vitro un intero genoma di micoplasma che avesse la sequenza voluta ma che soprattutto non contenesse errori. Per riuscirci è stato necessario sequenziare, cioè individuare l’intera sequenza nucleotidica, della specie che si voleva replicare, in questo caso Micoplasma mycoides.

E questa è stata la parte facile. Poi sono stati individuati i geni essenziali. Una volta stabilita al computer la sequenza esatta da riprodurre sono state sintetizzate in vitro piccole sequenze di nucleotidi che sono state unite insieme a formare una serie di frammenti di 1,4 kb. La kb (chilo base) è una quantità di DNA pari a 1000 nucleotidi (detti anche basi), ed è l’unità di misura utilizzata per indicare le dimensione di una molecola di DNA. Questi frammenti sono stati poi uniti 5 alla volta a formare frammenti più grandi (da 7 kb) e in seguito uniti ancora a dare 8 grossi frammenti che nel loro insieme formavano l’intero genoma del micoplasma. A questo punto è bastato unire insieme gli otto frammenti per avere il genoma completo. Dopo ogni passaggio sono stati però necessari lunghi processi di verifica dell’esatta sequenza dei frammenti prodotti (il termine esatto è clonati) per essere sicuri di non introdurre errori che avrebbero reso vano tutto il procedimento.

E IL RISULTATO È….

Tutto il processo è durato anni perché, nonostante l’approccio del design informatico e quindi di uno studio a tavolino, la parte empirica ha avuto un’importanza fondamentale. Il primo batterio vitale contenente un genoma sintetico è stato ottenuto nel 2010 e chiamato JCVI-syn1.0, per gli amici Synthia, ma era un genoma che conteneva ancora molti geni non essenziali o non particolarmente importanti. In questi anni sono state migliorate le tecniche di sintesi del DNA, quelle di trapianto genomico e soprattutto quelle per individuare i geni essenziali, che hanno portato alla produzione di JCVI-syn3.0. Si tratta di una nuova specie batterica controllata da un genoma disegnato al computer, possiede i soli geni essenziali alla vita, ed è più piccolo di ogni genoma naturale esistente in natura. Stiamo parlando di soli 473 geni che codificano per 438 proteine e 35 molecole di RNA (molecole che hanno un’importanza strutturale e di regolazione). Per intenderci il genoma di Escherichia coli, un batterio molto comune e molto studiato, possiede circa 4300 geni.

Come dicevamo sono stati individuati i geni essenziali alla vita batterica ma non di tutti se ne conosce ancora la funzione. Sono ben 65, su 473, i geni classificati come “sconosciuti”, e molti di questi probabilmente codificano proteine universali, cioè necessarie in tutte o quasi le forme di vita, la cui funzione deve però ancora essere caratterizzata.

 “STIAMO ENTRANDO IN UN’ERA IL CUI UNICO LIMITE È LA NOSTRA IMMAGINAZIONE”

Questa è la frase pronunciata da Craig Venter nella conferenza stampa per la presentazione di Synthia, qualche anno fa, e il concetto, sebbene scelto per il suo effetto mediatico, è sicuramente valido. Gli studi genetici si stanno infatti muovendo da una fase iniziale, descrittiva, a una fase sintetica, cioè costruttiva, in cui interi genomi possono essere assemblati grazie alla sintesi chimica. L’obiettivo di questa ricerca era l’individuazione e la costruzione del genoma minimo, ma le implicazioni di questo approccio sono molto più ampie perché può essere utilizzato per la costruzione di una cellula che esprima determinate funzioni. Basta scegliere il corredo genetico più adeguato.

Si potrebbe ad esempio utilizzare per la produzione di farmaci come gli antibiotici o di ormoni ricombinanti (come l’insulina), che già adesso sono prodotti da microorganismi (batteri o lieviti) selezionati sulla base di loro caratteristiche di crescita e di capacità produttive. Cambiando però approccio e disegnando ex-novo al computer batteri perfetti per quella specifica funzione, la qualità e la quantità della loro produzione potrebbe aumentare in modo significativo, abbattendo anche i costi di produzione.

Allo stesso modo si potrebbero produrre cellule in possesso di determinate vie metaboliche, come quelle per la degradazione di sostanze inquinanti complesse come gli idrocarburi aromatici. Dei veri e propri batteri “mangia petrolio” in grado di bonificare ampie aree in breve tempo.

Rimaniamo in campo ambientale e proviamo a pensare a legioni di batteri utilizzati per la produzione di plastiche biodegradabili o biocarburanti. Non a caso la Exxon ha sovvenzionato l’istituto di Venter con 600 milioni di dollari proprio per lo sviluppo di biocarburanti. Sono processi che esistono già ma che hanno costi o efficienze non adeguate. Con un design genetico ad hoc potrebbero invece diventare economicamente interessanti.

Intendiamoci, stiamo ancora parlando di possibilità future non ancora completamente esplorabili, anche perché è necessario un miglioramento nel campo informatico che permetterebbe di considerare molte più variabili, ma la strada è segnata ed è possibile percorrerla.

In conclusione possiamo dire che

473 geni sono sufficienti a sostenere la vita, ma solo se sei un micoplasma.

Finora infatti abbiamo parlato solo di microorganismi, il passo successivo, inevitabile, sarà quello di pensare ad approcci genetici simili per la costruzione di genomi di organismi superiori, magari per cellule umane. Si potrebbero aprire possibilità importanti in campo sanitario con terapie geniche più efficienti e con spettri infinitamente più ampi di quelli attuali. Ma anche con tutte le cautele bioetiche che bisognerà necessariamente considerare.

BIBLIOGRAFIA

 

A cura di Ivan Vaghi. Revisionato da Edoardo Vanetti.

 

 

Licenza Creative Commons
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Il post Vita sintetica: il manuale di istruzioni secondo C.Venter è apparso su Biochronicles.


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